L’inquinamento da plastica e spreco alimentare, un problema complesso.

Condividi su

Il pianeta è una stufa. E noi siamo stufi.

La terra è sempre più calda, almeno di 1,06 °C in più rispetto alla media dal 1880, come evidenziato dal National Climatic Data Center americano.

Qual è la causa del riscaldamento globale?

Le cause sono molteplici ma i colpevoli sembrano essere soprattutto i gas serra. Queste emissioni sono direttamente proporzionali all’aumento delle temperature,  e sono causate proprio dall’azione umana, come rilevato dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change, un vero e proprio foro climatico che mette insieme gli scienziati più autorevoli in materia; fondato nel 1988 a Ginevra, e formato da esperti di 42 paesi).

Tra le attività umane più inquinanti c’è senza dubbio la produzione industriale, coinvolta, ad esempio, nell’industria della plastica. Basta pensare al solo packaging e a quanti oggetti di plastica consumiamo e scartiamo ogni giorno per poi buttarle via.

Recita Wikipedia:
Per inquinamento causato dalla plastica si intende la dispersione e l’accumulo di prodotti plastici nell’ambiente che causa problemi all’habitat di fauna e flora selvatica così come all’habitat antropizzato. Tale tipo di inquinamento interessa l’aria, il suolo, i fiumi, i laghi e gli oceani.

L’importanza e la rilevanza di questo tipo di inquinamento derivano dalla economicità della plastica e dalla sua alta durabilità nel tempo e quindi alla produzione di grandissimi quantitativi della stessa per i più svariati usi.

Un esauriente articolo del Sole24ore ricorda che:
Un aumento del 20.000% in 40 anni: è quello stimato per la produzione di plastica nel mondo, passata dai due milioni di tonnellate del 1955 ai quasi 400 del 2015.[…]Parlando solo del nostro Paese, il 50% del pescato è fatto da rifiuti di plastica e l’85% dei rifiuti nei mari italiani sono materie plastiche[…]

Una vera e propria emergenza, dovuta all’enorme successo dei materiali plastici: ultra-economici, ultra-resistenti, versatili, duttili e malleabili per definizione. Uno dei maggiori pregi di questo materiale è oggi il suo maggior difetto: la resistenza.

1.000 anni di vita – Biodegradabilità della plastica

La plastica, e nello specifico il PET (polietilenetereftalato – la plastica maggiormente utilizzata nel confezionamento dell’acqua minerale e delle bibite in genere) è un materiale resistente e con una vita media stimata intorno ai 1.000 anni per cui è, in pratica, assolutamente non biodegradabile.

Anche la produzione di PET ha un pesante impatto ambientale, richiede infatti utilizzo di molta acqua e petrolio: per produrre 1kg di PET (con cui possono essere prodotte circa 25 bottiglie da 1,5 litri) sono richiesti oltre 17 litri di acqua + 2 kg petrolio.

6 gigantesche isole di plastica negli Oceani

Con milioni di rifiuti in plastica che invadono i nostri mari ogni anno, negli oceani crescono in maniera esponenziale tante isole di plastica, ma le più inquietanti sono 6, soprattutto a causa delle loro dimensioni e per il fatto che crescono esponenzialmente. Come evidenziato da Save The Planet ONLUS, basta dare un’occhiata alle loro dimensioni per farci venire la pelle d’oca, dal momento che l’inquinamento della plastica non è solo in superficie, ma arriva ad inquinare chilometri di coste e agisce anche nelle profondità marine. Ecco quali sono le 6 Isole di Plastica che minacciano l’ambiente terrestre:

  1. Pacific Trash Vortex
    È l’isola di plastica più grande al mondo, nel bel mezzo dell’oceano Pacifico ed è grande 3 volte la Francia con circa 3 milioni di rifiuti galleggianti.
  2. South Pacific Garbage Patch
    È grande 8 volte l’Italia e si trova al largo del Perù e del Cile.
  3. North Atlantic Garbage Patch
    Si trova in Oceano Pacifico e conta più di 200.000 rifiuti per chilometro quadrato. Scoperta già nel lontano 1972.
  4. South Atlantic Garbage Patch
    Si estende per 1 milione di km2 e si trova tra l’America del Sud e l’Africa meridionale. Si muove al passo della corrente oceanica sud atlantica.
  5. Indian Ocean Garbage Patch
    Un’estensione di oltre 2 km e una densità di 10 mila detriti per km2, è stata localizzata nell’Oceano Indiano.
  6. Artic Garbage Patch
    È la più “piccola” ma sta crescendo. Vicina al circolo polare Artico, nel mare di Barents, si sta ingrandendo giorno dopo giorno con i rifiuti provenienti da Europa e coste del Nord America.

Inquinamento e spreco alimentare, un problema complesso.

La conservazione del cibo, su tutta la filiera di produzione e distribuzione è un elemento cruciale per l’intera umanità: buttare cibo scaduto non è ininfluente per l’Ambiente.

Ogni anno  (rapporto Waste Watcher 2019) gli italiani, solo nelle loro case “bruciano” 36 chili di alimenti pro capite, alimenti che vengono gettati nella spazzatura. Per produrre un alimento si genera un impatto ambientale più grande di quello necessario al suo recupero; inoltre, ogni anno il 30% del cibo prodotto nel mondo viene perso, deperisce, viene buttato via, perché non raggiunge in tempo i mercati e chi dovrebbe consumarlo. Un 30% di spreco all’origine che aumenta fino al 50% in alcune aree dei paesi in via di sviluppo.

Proprio a questo punto si inserisce il packaging. Esso infatti contribuisce a proteggere e conservare l’alimento nel tempo e nello spazio aumentando la probabilità che sia assunto. Così facendo, evita che l’impatto ambientale che già c’è stato per la produzione del cibo sia stato totalmente inutile.

La realizzazione di imballaggi alimentari sempre più sicuri ed eco-sostenibili potrebbe aiutare a salvare parte della produzione di cibo che oggi viene persa durante il tragitto dai campi e dalle fattorie ai consumatori finali: grazie allo progresso tecnologico, oltre alla comparsa di plastiche totalmente o parzialmente biodegradabili, materiali non adatti al confezionamento di lungo termine come la carta possono subire processi e trattamenti che li rendono più resistenti ed idonei alla conservazione.

Plastica si o plastica no?

La plastica è stata finora necessaria per garantire la conservazione degli alimenti. Il modello attuale non è però più sostenibile e occorre al più presto attrezzarsi con un’alterativa valida a breve, medio e lungo termine.

Potrebbe piacerti anche: